Tone of Voice: il suo valore nella communication strategy

L’importanza del tone of voice. Un brand di carattere. È il tono che conta.

C’è quello che diciamo e c’è come lo diciamo.

Ne facciamo continuamente esperienza nella vita e nelle relazioni, tanto che l’essere umano sviluppa rapidamente la capacità di interpretare il contenuto di un messaggio, ben oltre le parole. Una parola semplice come “grazie”, a seconda dell’intenzione con cui è pronunciata, può assumere un ventaglio di significati che si fanno beffe del vocabolario: dal sollievo alla sollecitazione, dalla gratitudine all’ammirazione, fino al sarcasmo più evidente.
Anche il contenuto di un messaggio pubblicitario può essere espresso in modi molto diversi, che rivelano la personalità di chi parla, cioè del brand. Potremmo definire il tone of voice come “stile comunicativo”.
L’ambizione è quella di distinguersi dallo sfondo o dai competitor, sfoderare elementi distintivi immediatamente individuabili che – pur a parità di contenuto del messaggio – raccontino in sé i miei valori e il mio modo di guardare la vita. Il carattere, la personalità che filtra dal modo in cui comunico, dalle immagini che scelgo, dalle parole e dalla punteggiatura che uso, da dove punto il focus del mio messaggio.

tone of voice

Il tone of voice è un aspetto che riguarda il copywriter, in primis, ma non solo lui. Coinvolge tutta la comunicazione e viene da molto più in alto, dalla personalità stessa, dai valori e dalla filosofia del brand e, naturalmente, dal target cui si vuole rivolgere.

Cosa succede quando in un settore merceologico che adotta convenzionalmente un certo tone of voice arriva un brand che sceglie tutt’altra voce? Talvolta, una rivoluzione. Un esempio potente è quello rappresentato da Taffo nelle pompe funebri; in un mondo di luci soffuse, di claim sussurrati, di “caro estinto” si è fatto notare per l’uso di un registro ironico/umoristico del tutto sconosciuto al settore che lo ha reso riconoscibile e… virale.

In un recente passato, l’adv di banche e assicurazioni era abbastanza uniformato; doveva essere “corporate”, cioè tendenzialmente serio e noioso, con colori rassicuranti per trasmettere tutto il rigore e l’affidabilità del settore, poi sono arrivati i primi istituti bancari che hanno adottato altri codici molto più ludici e informali – l’arancione e la zucca di Conto Arancio, per esempio – e ora anche i brand finanziari si differenziano notevolmente fra loro per tone of voice.
Ancora un esempio: il mondo beverage e le birre. Osservate come comunica Ceres – colore, cartoon, ironia, instant adv – rispetto a birrificio Poretti – tradizione, professionalità, esperienza o addirittura quanto si differenzia Ichnusa – tutta orgoglio sardo.

Il tone of voice può essere caldo, freddo, neutro, colorato… esistono molti schemi per definire molteplici categorie. Ma non è un mix che si sceglie a tavolino, aprendo il ventaglio dei Pantoni. Entra profondamente nella strategia di marketing e comunicazione, anche perché è destinato ad accompagnare il brand per moltissimi anni.

Allora, quando il Tov è giusto?

Quando è coerente – con il carattere del brand che lo esprime – quando è coinvolgente per il target che vuole raggiungere, quando è declinato su tutta la comunicazione e tutti i canali, dal blog aziendale alla newsletter, quando riesce a distinguere il brand rispetto ai competitor e a renderlo memorabile.


Un po’ la stessa differenza che apprezziamo nelle persone di carattere. Che ci piacciano o no, sono quelle che ricordiamo.